lunedì 3 gennaio 2011

4 gennaio 1958

Quattro giorni del nuovo anno andati, insieme alla risoluzione di una pagina quotidiana, per descrivere umori, fatica, una buccia d'arancia o il colore dell'acqua  nella vasca dopo il bagno settimanale.
Penitenza e fuga, in un colpo solo: recuperare quattro pagine.
L'aria si fa tersa, limpida.
L'oppressione a strisce gialle e nere di ottobre, novembre e dicembre è andata, e arriva l'aria pura del nuovo anno. 
Tanto fredda da trasformare in pezzi di ghiaccio doloranti stinchi, orecchie e guance scoperti.
Eppure il sole, che ora tocca la vernice fresca bianca della porta della dispensa, si riflette nella pittura color brutto-bruciato che ricopre le tavole del pavimento e manda un raggio di sbieco sul tappeto lavanda malva-ruggine rosato dalla finestra dell'abbaino a ovest.

Cambiamenti: che cos'è che spalanca le finestre all'aria sottile e ai paesaggi azzurri in una scatola soffocante?

Una camicia di spigato rosso per Natale: rosso lacca con arricciature rifinite di nero e verdi felci orientali da indossare ogni giorno contro pareti celesti.
L'opportunità offerta a Ted di insegnare per tutto il tempo che ci serve. Un gruzzolo di 1000 o 2000 dollari puliti per l'Europa.
Gioia indiretta per la sua scrittura, che promette qualcosa anche a me: la terza poesia che il"New Yorker" mi accetta e un raccontino per "Jack and Jill".

1958: un anno in cui smetto di insegnare e inizio a scrivere. Il credo di Ted: non aspettarti troppo, scrivi e basta. Ascolta te stessa: butta giù.
Questo mi spaventa: il silenzio di tomba. Ci vorranno dei mesi per riempire il mio mondo interiore di gente e per metterla in moto.
Come altro fare se non proiettandomi dentro il mio vuoto, fuori da questo mondo organizzato, scandito, stipendiato?
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Creare una scena? Descrivere a memoria un aneddoto dell'infanzia? Io non ho memoria. Sì, c'era una aiuola di cespugli di lillà davanti alla casa gialla di Freeman. Cominciamo da lì: 10 anni di infanzia prima degli scivolosi anni dell'adolescenza e poi i diari su cui lavorare, per ricostruire.
Due pioppi, tende a strisce verdi e arancioni: non ho mai imparato a osservare i particolari. A ricreare la vita vissuta: che è vita rinnovata. L'aneddoto scende, un bruscolo nell'occhio di dio, e una lacrima stilla a cento anni e un giorno da oggi, un mondo perlaceo tondo e iridescente. Se capovolgi la palla di vetro la neve viene giù lenta tra mulinelli d'aria color quarzo.

La copertina di un libro di Hans Andersen svela i suoi  mondi: la Regina delle Nevi, bianca e blu come il ghiaccio, vola su una slitta nell'aria densa di fiocchi: i nostri cuori sono gelati. 
Sempre: fango, pattume, merda contro i palazzi di diamante. Quell'uomo poteva sognare dio e il paradiso: il lavorio della melma. 
Bruciamo nel nostro fuoco. Dare voce a questo. E all'orrore: lo strano uccello che conosce Longfellow sta appollaiato sul filo con sullo sfondo paesaggi inglesi di cespugli verdi.
Un nonno dalla barba bianca che affoga nei marosi, le onde lunghe calde, lente e vischiose; il terrore della carta che crepita e si spande davanti alla graticola nera spenta: da dove vengono queste immagini, questi sogni?
Mondi - chiusi fuori dal rumore delle macchine, dal dettato del calendario. Uno appeso a una decorazione natalizia, d'oro sbiadito, un altro argentato, nella pancia della mia teiera di peltro: apri la porta di Alice, lavora e suda per cercare di forzare cancelli e rivelare parole e mondi. ....

"Diari" - Sylvia Plath - Biblioteca Adelphi 367.

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