sabato 28 febbraio 2009

Il giardino dei Finzi Contini

Pubblicato nel 1962, Il Giardino dei Finzi Contini fa parte di quel grande organismo romanzesco cui Giorgio Bassani lavorò nel corso di quarant'anni.

Il romanzo di Ferrara che comprende:
Dentro le mura, Il Giardino dei Finzi Contini, Dietro la porta, L'Airone, L'Odore del fieno, Gli Occhiali d'oro ... Romanzi autonomi, ma legati intimamente fra loro da una visione poetica comune e da una ambientazione che diventa anche simbolo di un modo di guardare la storia.


Ferrara, con le sue strade larghe e silenziose, i vecchi ghetti, la malinconia sottile e piacevole di un’esistenza sospesa in un’eterna provincia, tra i fasti universitari di Bologna e i poetici languori di Venezia; le nebbie lattiginose, da cui affiorano a tratti sagome scure, fantasmi che solo all’ultimo momento rivelano la loro vera identità di case, alberi, muri.

L’io narrante de Il giardino dei Finzi Contini vive immerso in questa atmosfera, e di questa atmosfera vuole restituire il sapore, in un romanzo che nasce e si sviluppa sul lento, assiduo movimento del ricordo.

Il prologo esordisce con l’immagine della necropoli etrusca di Cerveteri, meta di una scampagnata del protagonista insieme ad alcuni amici, una domenica d’aprile del 1957.

La particolarità del luogo suscita nella compagnia una riflessione sulla morte e il ricordo di chi ci ha lasciato, sempre più labile con il passare degli anni, fino a dissolversi del tutto.

" Le tombe antiche fanno meno malinconia di quelle più nuove?" chiede Giannina, la più piccola del gruppo, ed è come se da questa domanda scaturisse il flusso narrativo che dà vita all’intero romanzo, recuperando un tempo passato, ma solo per accorgersi che mai, neppure quando era presente, lo si è posseduto veramente.

" riandavo con la memoria agli anni della mia prima giovinezza, e a Ferrara, e al cimitero ebraico posto in fondo a via ".

Non è un caso che sia proprio un cimitero ad aprire la lunga rassegna di ricordi dell’io narrante; le immagini di morte sono ricorrenti nel romanzo, avvolte di un’aura mai lugubre o drammatica, ma dolcemente malinconica.

Anche della tragedia umana dei Finzi Contini, illustre famiglia ebraica travolta e distrutta nei campi di sterminio nazisti, il lettore non avverte l’orrore e l’immane peso storico, ma solo il languore elegiaco di un amore perduto.

All’epoca delle leggi razziali, un gruppo di giovani ebrei benestanti di Ferrara si trova escluso dai circoli sportivi, dalle biblioteche e dai luoghi di ritrovo pubblici: è l’occasione che spinge gli alteri Finzi Contini a sciogliere il proverbiale riserbo, mettendo il loro leggendario giardino a disposizione dei giovani, ebrei e non, coetanei dei figli Alberto e Micol.

Il giardino diventa così un luogo sospeso, a-storico,
dove lo spensierato snobismo dei suoi nobili abitanti sembra voler cancellare con la noncuranza e il disinteresse quanto sta avvenendo oltre le mura secolari che ne delimitano i confini.

Il fascino misterioso e antico di questo microcosmo, apparentemente inattaccabile, del tutto bastante a se stesso, attrae irresistibilmente il protagonista, che si innamora di Micol, parte di quel mondo ma, nello stesso tempo, l’unica a saperlo guardare con distacco e con triste ironia, l’unica che, talvolta, provi a scavalcare quelle mura, come faceva fin da ragazzina, eludendo la sorveglianza di portinai e governanti.

Ma questo amore appassionato e struggente non verrà mai vissuto: Micol lo allontana, consapevole che le persone troppo simili non possono amarsi davvero, perché «l’amore ( era roba per gente decisa a sopraffarsi a vicenda, uno sport crudele, feroce ... da praticarsi senza esclusione di colpi e senza mai scomodare, per mitigarlo, bontà d’animo e onestà di propositi».

E forse, (ma è un dubbio, solo un dubbio che l’io narrante non vuole sciogliere, né per se stesso né per i lettori), Micol un amore di questo tipo lo ha trovato, in Malnate, giovane frequentatore del giardino, milanese, comunista militante, che guarda alla vita e alla storia con ben altra energia e concretezza che i Finzi Contini.

Alla fine del romanzo, la rinuncia del protagonista a Micol corrisponde con la sua entrata nella vita vera, con tutto il suo peso di dolore e responsabilità, con la nuova consapevolezza che il mondo protetto e incantato de Il giardino dei Finzi Contini si reggeva solo su valori appartenenti al passato, che le parole di Micol erano " solite parole ingannevoli e disperate che soltanto un vero bacio avrebbe potuto impedirle di proferire"

Il giardino dei Finzi Contini
Einaudi Tascabili, 1999

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