sabato 27 dicembre 2008

Da "L'eleganza del riccio"

"Allora beviamo una tazza di tè

E come Kakuzo Okabura, l'autore del Libro del tè, che si addolorava per la rivolta delle tribù mongole nel XIII secolo non perché avesse causato morte e afflizione, ma perché aveva distrutto l'arte del tè, il più prezioso fra i frutti della cultura Song, anch'io so bene che il tè non è una bevanda qualunque.

Quando diventa rituale, rappresenta tutta la capacità di vedere la grandezza delle piccole cose.

Dove si trova la bellezza? Nelle grandi cose che, come le altre, sono destinate a morire, oppure nelle piccole che, senza nessuna pretesa, sanno incastonare nell'attimo una gemma di infinito?

Il rituale del tè, quel puntuale rinnovarsi degli stessi gesti e della stessa degustazione, quell'accesso a sensazioni semplici, autentiche, raffinate, quella libertà concessa a tutti, a poco prezzo, di diventare aristocratici del gusto, perché il tè è la bevanda dei ricchi così come dei poveri, il rituale del tè, quindi, ha la straordinaria virtù di aprire una breccia di serena armonia nell'assurdità delle nostre vite.

Sì, l'universo tende segretamente alla vacuità, le anime perdute rimpiangono la bellezza, l'insensatezza ci accerchia.

Allora beviamo una tazza di tè. Scende il silenzio, fuori si ode il vento che soffia, le foglie autunnali stormiscono e volano via, il gatto dorme in una calda luce.

E, a ogni sorso, il tempo si sublima."

(Muriel Barbery - "L'eleganza del riccio" - edizioni e/o)

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